Le amicizie in adolescenza, ovvero le preoccupazioni dei genitori
I genitori frequentemente esprimono preoccupazione e timore per le relazioni extrafamigliari che il proprio figlio/a tende a costruire nel suo percorso di crescita, investendo su di esse sempre più tempo e risorse. Una rete di amicizie sempre più fitta e variegata nella quale i rapporti vissuti di persona corrono parallelamente a quelli che si intrecciano nella realtà virtuale. E più i ragazzi crescono, più i genitori si sentono esclusi da quella socialità che un tempo gestivano in prima persona per i loro figli: lo studio con i compagni di scuola, le feste di compleanno, le uscite al parco tra amici etc. Gradualmente questo scenario, nel quale gli adulti fungevano da registi, scompare: si ritrovano in un angolo, con informazioni sempre più frammentarie e scarne, ed esclusi proprio da quel mondo in cui, fino a qualche tempo fa, il loro ruolo era quello di gestire la vita del figlio.
Adesso, invece, la vita è sempre più nelle mani dell’adolescente, che iniziando a muoversi autonomamente, si incammina verso l’età adulta, costruendo una nuova socialità per lo più disgiunta da quella familiare, e comunque caratterizzata da un minore coinvolgimento dei genitori. I figli salutano, escono, la porta di casa si chiude e là fuori c’è un mondo nuovo che li attende, di cui papà e mamma sanno poco o niente.
Questo accade perché i ragazzi costruiscono quella che potremmo definire una nuova ‘famiglia sociale’ rappresentata dal gruppo dei pari, una dimensione relazionale che funziona come luogo di apprendimento, di sperimentazione, di sfide, svolgendo un ruolo di fondamentale importanza nella costruzione del senso d’identità, dell’autonomia e della visibilità sociale dell’adolescente. Si tratta di un’esperienza sollecitante e stimolante, che accompagna i giovani nel percorso di transizione verso la realizzazione personale e l’acquisizione di responsabilità.
Tuttavia proprio le amicizie dei figli possono rappresentare per molti genitori motivo di paura e preoccupazione, assillati dal pensiero che certi comportamenti del ragazzo/a (disinteresse nei confronti della scuola, uscite frequenti, uso di sostanze etc.) siano causati dall’influenza di rapporti amicali non ‘positivi’, le cosiddette ‘cattive compagnie’.
Ma proviamo a capire meglio: se provassimo a costruire uno schema mentale un po’ semplicistico, me ne rendo conto, ma efficace, potremmo suddividere il livello di preoccupazione genitoriale in 4 categorie: 1) basso 2) intermedio 3) elevato 4) nessuna preoccupazione.
Partiamo dal primo livello – basso: si verifica quando il ragazzo inizia a mostrare gusti, comportamenti, modi di parlare, abitudini, diversi dal solito, provocando lo stupore dei genitori che spesso esclamano l’ormai famosa frase ‘Non lo riconosco più!’ . Un esempio?: Il ragazzo che indossa jeans strappati o qualsiasi altro ‘incomprensibile’ indumento o che si improvvisa cantante, sciorinando testi con parole volgari e poco eleganti.
Secondo livello – intermedio: preoccupazione che sorge nel momento in cui l’adolescente inizia a mettere in discussione le regole familiari, a non riconoscere il ruolo genitoriale e/o quello dei docenti nel contesto scolastico, dando priorità alle proposte del gruppo amicale, a volte non in linea con i valori e i principi educativi degli adulti. A titolo esemplificativo, possiamo citare quei ragazzi che disinvestono nella scuola o che accumulano diverse assenze, che non rispettano gli orari uscita e rientro, decisi dai genitori, etc.
Infine, abbiamo un livello elevato di preoccupazione: si tratta di situazioni fortemente problematiche dove sembra mancare ogni possibilità di controllo da parte della figura genitoriale sul figlio, i canali comunicativi appaiono interrotti, con una escalation progressiva di comportamenti sempre più gravi e disfunzionali: abbandono scolastico, ripetute trasgressioni, uso di sostanze stupefacenti etc. Quando si verificano queste situazioni, con il conseguente innalzamento del livello di preoccupazione dei genitori, significa che le relazioni amicali sono vissute dall’adolescente secondo modalità che non vanno nella direzione di un percorso evolutivo bensì di blocco, o addirittura regressivo.
Occorre, a questo punto, chiedersi ‘Perché?, Che cosa sta accadendo al proprio figlio, che sembra cambiare ‘volto’, che abbandona tutti i buoni insegnamenti impartiti dai genitori? E sono proprio queste le domande che si pongono gli adulti che arrivano in consultazione, preoccupati per i loro ragazzi, con l’idea di un futuro sempre più a rischio e compromesso.
Nel caso di comportamenti che non evidenziano importanti fratture rispetto alle regole familiari e sociali, e che non mettono in crisi il percorso di crescita dell’adolescente, possiamo dire che si tratta di un quadro riconducibile ad un fisiologico passaggio nel quale il ragazzo cerca di costruire un’identità differente e autonoma rispetto a quella delineata dalla famiglia, magari percorrendo strade inaspettate ma ritenute ‘non rischiose’. Si tratta, quindi, di nuovi atteggiamenti che possono deludere, fare arrabbiare o stupire i genitori, ma che tutto sommato non creano grosse preoccupazioni.
Viceversa, se le situazioni diventano problematiche e sfuggono al controllo degli adulti, allora possiamo pensare a comportamenti che indicano un problema più profondo e complesso, per i quali occorre decodificarne il senso.
Un comune denominatore: il significato personale di un’amicizia
C’è un fattore fondamentale che accomuna i vari tipi di amicizie (positive, negative, etc.): il valore che ad esse attribuisce ogni adolescente, in relazione alla sua vita e all’idea che ha di sé. Per essere più chiari: ognuno di noi va incontro ad un numero illimitato di esperienze, che includono la costruzione e il mantenimento di nuovi legami e rapporti intersoggettivi. Dinanzi a questo scenario, ci muoviamo facendo delle scelte che ci porteranno ad includere nel nostro spazio relazionale alcune figure e non altre, ad avvicinarci a certe persone con determinate caratteristiche e a prendere le distanze da chi ci sembra non in linea con il nostro sentire. Possiamo, pertanto, affermare che ogni legame ha un qualche significato più o meno esplicito per il nostro mondo interiore e per la nostra storia.
Ora, se proviamo a riflettere sugli adolescenti, possiamo pensare che la scelta del giro di amicizie non faccia altro che rispecchiare un qualche bisogno emotivo che il ragazzo nutre, un’idea di sé che vede confermata nella sua nuova famiglia sociale. Non è sempre facile ottenere una comprensione immediata di questo processo soprattutto se i genitori sono alle prese con una situazione difficile o addirittura rischiosa che riguarda il proprio figlio, con il bisogno di un intervento immediato. Comprensibilmente, quindi, le strade che si tende ad adottare per cercare una soluzione sono due: 1) porre divieti o svalutare la ‘cattiva compagnia’ al fine di ripristinare la priorità del ruolo genitoriale 2) considerare il proprio figlio vittima della pessima influenza esercitata da figure esterne e quindi dagli amici.
Per entrambe le soluzioni ipotizzate, i risultati ottenuti saranno probabilmente scarsi o, nella migliore delle ipotesi, solo di breve durata: nel primo caso, il rapporto tra genitori e figlio si inasprirà ulteriormente, il ragazzo tenderà a mentire per tenersi stretto il suo giro di amicizie, con la conseguenza di un rafforzamento del valore che l’adolescente riconoscerà al gruppo. Nel secondo caso il rischio è forse ancora più grosso perché attribuire a delle figure esterne il potere di ‘pilotare’ il comportamento del proprio figlio significa non vedere quali aspetti e difficoltà personali lo hanno portato a percorrere una determinata strada, scegliendo un certo tipo di amicizie e non altre. Rinunciare a questo sguardo, significa ostacolare la comprensione del percorso di sviluppo dell’adolescente e impedire possibili forme di aiuto.
Abbiamo lasciato in sospeso, non per dimenticanza o perché meno importante, quelle situazioni in cui i genitori si dicono tranquilli, privi di qualunque preoccupazione perché parlano di tutto con i figli, conoscono tutti i loro amici etc.
Si tratta, ovviamente, di circostanze favorevoli in cui ogni famiglia vorrebbe trovarsi. Ma anche in questo caso, vale lo stesso principio: guardare le dinamiche evolutive del ragazzo/a. Ricordiamoci, infatti, che il periodo dell’adolescenza è caratterizzato dal debutto sociale dei giovani, dall’acquisizione delle prime forme di autonomia, dalla costruzione di uno spazio relazionale dove la presenza dei genitori viene relativizzata, e cresce il bisogno di una dimensione di riservatezza. Nostro figlio/a sta andando in quella direzione o mostra una scrupolosa e continua adesione all’identità famigliare e ai suoi scenari abitudinari e storici?
Fare i genitori non è certamente semplice, ancora meno di figli adolescenti, ma guardare con rispetto e desiderio di comprensione al modo in cui si struttura il percorso di crescita di un figlio, prestare attenzione alla sua soggettività, puntare sul dialogo e non solo sulle regole educative, accettare un’inevitabile dose di rischio, e nei momenti più difficili chiedere un aiuto psicologico, sono tutti validi strumenti di cui gli adulti possono dotarsi.
Grazie per la Lettura