Se i bambini litigano, meglio lasciar fare a loro…
Scopriamo perché il conflitto tra coetanei è per i bambini un importante fattore di crescita
I bambini, oggi, vivono in contesti sociali sempre più variegati e stimolanti. A differenza di qualche decennio fa, in cui i primi anni di vita vedevano un contatto esclusivo tra il nuovo nato e le figure a lui prossimali (genitori e nonni), da qualche anno si assiste ad un inserimento sempre più precoce dei bambini in luoghi sociali che vanno al di là di quello strettamente familiare (nido, scuola materna, centri pomeridiani etc.), dove nascono le prime interazioni fra coetanei. Accade, dunque, frequentemente che desideri contrastanti pongano i bambini in conflitto. Facciamo l’esempio, molto comune, di un bambino che si trova in una scuola materna con altri coetanei, e che è molto attratto da un giocattolo tenuto in mano da un altro bimbo. Con ogni probabilità, il primo si avvicinerà al secondo, cercando di sottrargli il prezioso oggetto, tanto ambito. A questo punto gli scenari che si aprono possono essere diversi: può accadere che il compagno ceda il gioco senza protestare o che tenti qualche forma di resistenza, oppure che difenda tenacemente il possesso del proprio giocattolo. Può capitare, e questo gli adulti lo sanno bene, che l’invasore e il difensore ricorrano subito all’uso del corpo, con varie forme di aggressione (colpi, pugni, morsi) soprattutto se si tratta di bambini molto piccoli. Queste sono le scene che più preoccupano coloro che si prendono quotidianamente cura dei bambini (genitori, insegnanti, educatori) e che, quindi, restano maggiormente scolpite nella loro mente, con il rischio di costruire l’errata convinzione che le “aggressioni” siano la più frequente se non l’unica modalità che i bambini hanno per risolvere un conflitto. In realtà, i bimbi sono costantemente in relazione fra di loro e vivono numerose situazioni di questo tipo (che passano inosservate), riuscendo a risolverle in diversi modi, che certamente includono l’aggressione e la prevaricazione, ma in una percentuale più bassa di quanto si pensi.
Spesso l’intervento degli adulti mira a ripristinare la quiete, con l’ausilio di strumenti cognitivi che non si adattano alle caratteristiche di un bambino, per esempio: far giocare alternativamente i due bimbi. “Prima giochi tu, e dopo gioca lui”. Per un bambino molto piccolo, la percezione del tempo è differente rispetto a quella di un adulto, perciò una frase di questo tipo può risultare priva di significato, ed esacerbare il suo malessere.
Occorre poi pensare che spesso si interviene nelle dinamiche tra bambini, partendo dal presupposto che questi siano copie imperfette e incompiute degli adulti e, dunque, in un certo qual modo deficitari e bisognosi di costante aiuto/guida per affrontare le situazioni in cui si trovano. I bambini, in realtà, sono certamente non autonomi e dipendenti dalle cure genitoriali ma ciò non significa che non siano dotati di “strumenti”. I piccoli hanno una rappresentazione di sé e del mondo peculiare e specifica della loro età, che utilizzano per stare al mondo. Pertanto i bambini, più di quanto si immagini, risolvono i litigi con i coetanei, inventando un gioco in cui possono partecipare entrambi, o mettendo in atto altre soluzioni creative (inventare diversi ruoli, concordare nuove regole etc.) Si tratta, ovviamente, di momenti non durevoli e di una cooperazione ancora limitata ma che rappresenta per loro un importante fattore di crescita e di sviluppo. Gli adulti devono, quindi, resistere alla tentazione di intervenire continuamente e in modo direttivo nelle relazioni fra bimbi perché questo limita la possibilità di costruire competenze e abilità sociali. Occorre disfarsi dell’idea che il bambino in quanto tale non è in grado di…, non può riuscire a risolvere un litigio…, può farsi male o soffrire. Questo presupposto, che appartiene all’adulto, trasmette al piccolo l’idea di dover sempre ricorrere al papà, alla mamma, all’insegnante etc. per affrontare le situazioni in cui si trova, non lascia fluire nella sua mente nuove e possibili idee risolutive, non aiuta a sviluppare la comprensione del punto di vista dell’altro e delle emozioni.
E allora gli adulti cosa possono fare? Ovviamente sarebbe un errore pensare che gli adulti svolgano soltanto una funzione di custodia. Tutt’altro! E’ importante che chi si prende cura dei bambini garantisca la sua presenza mentale ed emotiva (Sono qui con voi!), che organizzi luoghi adatti a loro, che stimoli la curiosità, la voglia di esplorare e di svolgere attività in gruppo. E che tutto questo avvenga in un clima di serenità, di definizione delle regole, di accoglienza, di disponibilità alla comunicazione e all’ascolto, di attenzione per sé stessi e per l’altro.
E’ attraverso “l’aria che respirano”, le sensazioni percepite negli ambienti che frequentano, che i bambini possono esprimere le loro capacità e creatività, sentirsi sempre più capaci e disponibili alla relazione con l’altro.
Grazie per la Lettura
Laura Polito